La magia delle voci di Hollywood, il successo del doppiaggio italiano

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Il grande successo del cinema americano in Italia e il fascino che esso ha sempre esercitato sul pubblico è legato, non soltanto ai volti leggendari di attori come Greta Garbo, Clark Gable, Marlene Dietrich, Marlon Brando e tanti altri, ma anche alle loro voci. Il doppiaggio italiano, da sempre considerato uno dei migliori del mondo, ha influito fortemente sul successo o meno di un titolo. Con l’avvento del sonoro il cinema hollywoodiano ebbe molta difficoltà ad imporsi sul mercato europeo e gli incassi fecero registrare un brusco calo. Così nel 1929 ci furono i primissimi esperimenti di doppiaggio: le registrazioni venivano effettuate negli studi americani da attori italoamericani, che con il loro marcato accento straniero rendevano il tutto molto artificioso e ostico all’orecchio italiano. I risultati di questi improbabili doppiaggi furono quindi molto deludenti, ma successivamente, si cominciò ad affinare sempre di più la tecnica. Solo nel 1932, con la nascita degli stabilimenti di doppiaggio in Italia, si iniziò ad avere una certa qualità e in tutta l’industria cinematografica cominciò a diffondersi questa pratica. Tra i nomi storici del doppiaggio italiano ricordiamo: Tina Lattanzi, Lydia Simoneschi, Guido Panicali, Sandro Ruffini, Wanda Tettoni. Molti doppiaggi d’epoca sono andati perduti sia a causa dei ridoppiaggi realizzati nel dopoguerra sia soprattutto a causa del governo fascista, che impose enormi tasse alle case cinematografiche americane per l’esportazione di pellicole nel nostro Paese; per questo motivo molte major d’oltreoceano non solo non mandarono più film in Italia ma distrussero anche le colonne audio in lingua italiana precedentemente realizzate. Oggi, sul web, è presente una fitta rete di appassionati, che attraverso ricerche e documenti rari hanno portato alla luce molti doppiaggi che si pensava fossero andati perduti. Punto di riferimento per tutti i cultori del genere è sicuramente la pagina facebook “Doppiaggio e Cinema”, gestista da Davide Bracale, giovane attore che con grande cura e dedizione gestisce il profilo inserendo tantissime notizie, aneddoti, video e curiosità sul doppiaggio e i suoi protagonisti. La pagina è diventata una vera e propria comunità, tra i cui utenti figurano anche diversi addetti ai lavori. Una passione, quella di Davide, nata da bambino, quando si lasciava affascinare dai lungometraggi Disney come “La spada nella roccia” e “La bella addormentata nel bosco”, nei quali con orecchio attento cominciava a riconoscere le voci di Tina Lattanzi e Lydia Simoneschi. Da allora la sua passione è cresciuta sempre di più e col tempo, attraverso uno studio sempre più attento dei timbri vocali, è riuscito non solo a catalogare decine di voci erroneamente associate ad altri nomi ma anche a recuperare tantissimi doppiaggi che probabilmente sarebbero andati perduti. È proprio grazie a queste vecchie colonne audio recuperate da cultori e appassionati come Davide che oggi possiamo godere di tutta la magia dei doppiaggi d’epoca, che a poco alla volta stiamo riscoprendo nei dvd di nuova pubblicazione. Ed ecco che gli interpreti di film rimasti nella storia come Maria Walewska, Il mago di Oz, Margherita Gauthier, La contessa Alessandra e tanti altri ritornano a parlare con le voci originali d’epoca che hanno fatto innamorare il pubblico italiano. La pagina “Doppiaggio e Cinema” è presente su Facebook a questo indirizzo: http://www.facebook.com/CinemaDepoca.

Eduardo Paola

(Articolo pubblicato su “Sussurri & Grida” nel numero di Dicembre 2015)

Isa Danieli: il palco e la sua regina

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Isa Danieli è una delle pochissime interpreti che unisce tradizione e modernità. L’attrice, all’anagrafe Luisa Amatucci, è sicuramente uno degli ultimi esempi di figli d’arte. La Danieli discende infatti da una delle famiglie più antiche e illustri del teatro napoletano: i Di Napoli. Capostipite artistico della famiglia era Raffaele Di Napoli, detto “Rafele ’e Napule” da cui si ebbe poi il cognome Di Napoli, nato nel 1815. Figlia di Renato Di Napoli e Rosa Moretti, Isa muove i primi passi praticamente sul palcoscenico. Una delle caratteristiche principali dell’attrice è stata sempre un’irrequietezza artistica, che nel corso degli anni l’ha portata a cambiare spesso genere e compagnia teatrale per poter crescere e mettersi continuamente alla prova con nuove esperienze e nuove situazioni. Nella sua lunga e variegata carriera infatti è stata diretta da registi come Eduardo De Filippo, Giorgio Strehler, Roberto De Simone, Lina Wertmüller, personalità diversissime tra loro, ognuna con un’impronta ben definita: “Tutti mi hanno dato qualcosa, le esperienze che ho vissuto sono sempre state molto diverse l’una dall’altra. All’inizio ho appreso tanto con Eduardo, ma poi ho imparato anche da altri grandi maestri; penso che la figura del regista nella vita artistica di un attore sia importantissima, fondamentale”. Tra le esperienze che la Danieli ricorda con maggior emozione c’è quell’ultima regia che il grande Eduardo firmò proprio ad uno spettacolo che l’attrice mise in scena nel 1983 con la propria compagnia, “Bene mio e core mio”, e poi l’edizione storica del 1976 de “La gatta Cenerentola” di Roberto De Simone: “La gatta Cenerentola è stato uno spettacolo completamente nuovo, che ha rotto i ponti con tutto quello che era il teatro tradizionale napoletano ed io sono stata felicissima di farne parte”. Musa ispiratrice della nuova drammaturgia, hanno scritto per la Danieli, Manlio Santanelli, Enzo Moscato e Annibale Ruccello. Proprio nella stagione teatrale in corso la Danieli ha ripreso, con sold out tutte le sere, “Luparella” di Enzo Moscato, ben 17 anni dopo il debutto assoluto del testo. Per il Cinema l’attrice è stata diretta da Nanni Loy, Mario Monicelli, Giuseppe Tornatore, ma non sacrificherà mai il teatro per il grande schermo: “Ho dedicato solo un anno della mia vita al cinema, ho girato diversi film ma poi non sono più riuscita a sacrificare un’intera stagione teatrale per girare un film. Quando sono riuscita a fare entrambe le cose, l’ho fatto con piacere”. Ultimamente la figura di Isa Danieli è spesso legata a quella dello scrittore Erri De Luca. Oltre che da una grande intesa artistica, i due sono uniti da una profonda amicizia: “L’ho conosciuto tramite mio marito, poi lui ha voluto che io leggessi dei suoi scritti ed è nata questa collaborazione. Insieme abbiamo fatto delle cose molto belle, come il corto “Al di là del vetro”, che per me è stato un grande regalo, un piccolo gioiello. Quando l’ho visto per la prima volta da spettatrice, mi sono commossa, come se non fossi stata io a recitare. La nostra è una bella amicizia che va al di là del feeling artistico”. Nel suo lungo percorso la Danieli ha toccato tutti i generi dello spettacolo, dalla prosa all’avanspettacolo, dalla canzone al cinema. Ha recitato la sceneggiata, il teatro d’autore, la tragedia greca come l’Edipo e Ecuba, ma confessa che ci sarebbe stato un ruolo che ha sempre sognato di interpretare e che non ha mai avuto occasione di mettere in scena, quello di “Medea”.

Eduardo Paola

(Articolo pubblicato su “L’Espresso Napoletano” nel numero di Aprile 2015)

Na Santarella: Marilù Prati, volto “scarpettiano” del nostro teatro

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Il suo volto è indissolubilmente legato ad uno dei personaggi scarpettiani più famosi e amati di sempre. Il personaggio è quello di “Santarella” dell’omonima commedia e il volto è quello di Marilù Prati. L’attrice napoletana, entrata giovanissima nella compagnia di Eduardo De Filippo, ha interpretato al fianco del grande Maestro il ruolo della protagonista in “Na Santarella” nella versione registrata per la Rai. Marilù Prati ricorda quell’esperienza come una delle più belle e formative di tutta la sua carriera. “Eduardo viveva nel teatro, era uno spirito del teatro – racconta l’attrice –. Mi ha insegnato tutto,  era una persona estremamente moderna. Ci teneva moltissimo che tutte le cose fossero fatte e dette come lui voleva, ma ci lasciava anche spazio. Dava delle tracce, che mi sono servite tantissimo, perché mi hanno dato dei binari da percorrere che tutt’ora ho presente”. Marilù ha respirato fin da bambina la magica polvere del palcoscenico, grazie ad un papà tenore, che la portava spesso con sé ad assistere alle proprie esibizioni. Nel 1967 si trasferisce a Roma, dove comincia a muovere i primi passi nel teatro. Il suo ingresso in arte avviene attraverso un annuncio letto su “Paese Sera”: Mario Ricci stava cercando una giovane attrice per lo spettacolo “Edgar Allan Poe”. A Roma era l’epoca dei teatri nelle cantine, dei laboratori e Mario Ricci era uno degli esponenti più importanti dell’avanguardia, con il suo “teatro immagine”. Il provino va a buon fine e inizia per lei un’avventura straordinaria che le cambia la vita. Dopo un viaggio in India, Marilù ritorna a Roma ed è in questo periodo che avviene un altro incontro fondamentale, quello con Carlo Cecchi ed Elsa Morante, che proprio in quel periodo stavano lavorando all’idea di riproporre il “Gran Teatro”. È il 1969 quando l’attrice napoletana entra nella compagnia di Carlo Cecchi, dove resterà per tre anni. “Eravamo un gruppo molto unito. Anche Elsa Morante, che in quel periodo stava scrivendo “La Storia”, spesso si univa a noi e partecipava attivamente alle scelte del Gran Teatro”. Gli spettacoli andavano in scena al “bit 72”, tempio dell’avanguardia romana, dove si esibivano artisti come Leo De Berardinis, Perla Peragallo e Carmelo Bene. Successivamente, l’attrice fa il suo ingresso nella compagnia del grande Eduardo. In quel periodo, De Filippo stava allestendo la sua ultima commedia, “Gli esami non finiscono mai”. “Erano anni bellissimi – ricorda l’attrice –. Eduardo aveva una compagnia composta perlopiù da giovani ed eravamo molto affiatati tra noi. C’erano Mario Scarpetta, Isa Danieli, Luca De Filippo, Lina Sastri, Marina Confalone, Angelica Ippolito. Ricordo un bellissimo Natale, trascorso con Eduardo e tutta la compagnia a Palazzo Benci a Firenze, dove cenammo tutti insieme e ci scambiammo i regali. Eduardo era sempre affettuosissimo con noi. Una volta mi invitò nel suo camerino e mi disse: “vuoi conoscere un segreto per scaldare la voce prima di uno spettacolo? “E mi offrì un caffè con un pò di whisky!. Il ricordo più bello che lega la Prati a Eduardo è naturalmente l’offerta, del tutto inaspettata, di quel ruolo da protagonista accanto a lui: “Eduardo mi chiamò in camerino durante una pausa e mi disse che a breve avrebbero registrato per la Rai una nuova serie di commedie, tra cui “Na Santarella”. Mi fece sedere, mi guardò e mi disse seriamente “ma tu te la sentiresti di fare “Santarella”?. Io rimasi a bocca aperta, mi aspettavo tutto tranne che una proposta del genere, e dopo qualche secondo di pausa dissi di colpo “Sì!”. Dopo l’avventura con Eduardo, Marilù Prati ha girato i grandi festival europei nella compagnia di Luca Ronconi con “Utopia”, un montaggio di cinque commedie di Aristofane e da quel momento la sua carriera non si è mai arrestata. Al cinema è stata diretta da registi come Federico Fellini e Mario Monicelli, ha preso parte a diversi sceneggiati tv, ma il suo amore resta sempre il teatro, dove in diverse occasioni ha debuttato non solo come interprete ma anche come autrice, come in “Bumbulè” e “Chiamami Mae West”.

Eduardo Paola

(Articolo pubblicato su “L’Espresso Napoletano” nel numero di Aprile 2015)

Incontro con… Stefano Pais

Stefano Pais - foto

Stefano Pais, cantautore e attore. Quando riesci ad esprimerti al meglio?

Riesco ad esprimermi meglio quando sono molto felice, o molto triste. Quando sono apatico invece sono privo di energie, di idee e di spirito di iniziativa.

È da poco uscito il tuo ultimo singolo “Come mi sento” con relativo videoclip. È in programma un album?

Sì, è in programma un album con sonorità e contenuti molto diversi rispetto al passato. Ci saranno brani scritti da me e brani di altri autori che mi hanno accompagnato da sempre. Ci sarà la versione tedesca del brano “Come Mi Sento” e saranno inseriti anche duetti con degli artisti che ho conosciuto a Berlino.

Da qualche tempo ti dividi tra Roma e Berlino. In ambito artistico che aria si respira in Germania?

Sono arrivato a Berlino per vedere che aria tirava, ero scarico e demotivato. Non me ne sono più andato. Penso possa bastare come risposta. Torno spesso a Roma perché la mia collaborazione con Massimiliano Barbetta e Paolo Fattorini, miei collaboratori e produttori da anni, non si è interrotta per colpa della distanza. Il mio nuovo lavoro infatti, non avrebbe vita e non potrebbe rispecchiarmi così tanto se non fosse per loro.

Qualche anno fa eri in lizza come cantante per il Festival di Sanremo con un pezzo scritto dall’astrofisica Margherita Hack. Com’è nato questo rapporto e che ricordo conservi di lei?

Margherita, che bel ricordo, che bella persona! Quanto fu gentile a scrivermi quel testo per darmi un pò di visibilità. E ne ho avuta parecchia. Solo che era luce riflessa. È davvero una bella canzone, con un bel messaggio. Il titolo è “Questo è il mondo”. Ovviamente a Margherita non interessava nulla di canzoni, “Sanremi” e “Pippi Baudi”, lei fece solo un grande favore a me. L’avevo conosciuta molti anni prima, l’amore per gli animali era la cosa che davvero ci univa.

Nel 2007, insieme ad Alessandro Orlando Graziano, hai firmato i pezzi dell’ultimo disco di Carla Boni “Aeroplani ed Angeli”, un album sperimentale, ironico e poetico. Come fu l’approccio di Carla con i vostri brani così diversi dal suo repertorio tradizionale?

Alessandro lo conosco da una vita. Abbiamo collaborato insieme a moltissimi progetti. Tutti molto belli. Questo di Carla Boni però è un lavoro che mi è rimasto nel cuore. Carla era ed è una grande artista, una grande donna e una amica, che non si è mai tirata indietro su nulla, sempre disponibile. E una delle donne più ironiche che io abbia mai conosciuto in vita mia.

Hai qualche progetto che ci puoi anticipare?

A breve sarò uno dei partecipanti di un cd tributo ad un personaggio pazzesco, mio idolo da sempre. L’uscita dovrebbe essere imminente. Inoltre dovrebbe esserci il seguito di “Pirula Pirula”, la web serie che mi ha visto protagonista. Sto poi girando un cortometraggio a Berlino, una rivisitazione di una puntata della famosa serie  “Ai confini della realtà”. Infine, oltre al mio Cd, in uscita per la fine di quest’anno, c’è la partecipazione al film: “Memorie di una stronza”.

Eduardo Paola

(Articolo pubblicato su “L’Espresso Napoletano” nel numero di Marzo 2015)

Domenico Granata e i suoi libri da favola

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Tutti noi da bambini abbiamo avuto il nostro libro del cuore che amavamo leggere e rileggere, affascinati dalla storia e soprattutto dalle coloratissime illustrazioni. Elementi fondamentali per un libro dedicato all’infanzia sono le immagini, grazie alle quali il piccolo lettore viene catapultato nel magico mondo delle vicende narrate. Storie di fate, folletti, cuccioli, cavalieri e principesse prendono vita attraverso le illustrazioni che corredano dettagliatamente la trama. Scrivere e illustrare storie per l’infanzia non è certamente alla portata di tutti, bisogna avere una sensibilità particolare e un’ottica non comune, vicina al cuore e alla fantasia dei bambini. Anche il più talentuoso dei disegnatori se non riesce ad osservare con gli occhi di un bambino, difficilmente potrà realizzare delle illustrazioni che entrino nell’immaginario dei più piccoli. Uno degli artisti più bravi in questo campo è Domenico Granata, giovane napoletano che con grande forza e determinazione si sta imponendo in questo settore con diversi titoli che stanno facendo il giro del mondo. Ultimo personaggio uscito dalla sua fantasiosa matita è la simpatica Milla. Le avventure illustrate di Milla sono già state pubblicate in diversi Paesi come la Cina, il Messico e il Sud America. Domenico scopre la sua passione per le illustrazioni nel corso delle scuole medie, quando durante la lettura di alcune novelle di Verga, d’istinto comincia a disegnarne alcune scene. In seguito, iscrittosi al Liceo artistico, affina la tecnica. Ma l’elemento che scatena in lui la consapevolezza che il mondo delle illustrazioni per l’infanzia sarebbe stata la sua vita, è stata la lettura del romanzo fantasy “Landover” di Terry Brooks che accende in lui quell’immediata ispirazione di prendere la matita e schizzare caratteri. Da lì comincia a perfezionarsi frequentando corsi, come quello di illustrazione di tecnica mista tenuto dall’artista Józef Wilkon a Sarmede e partecipando a concorsi nazionali come “Immagini per una favola” di Pordenone, dove si classifica primo con i disegni della strega innamorata. Domenico Granata per le sue storie illustrate, parte quasi sempre da un disegno, da un personaggio; gli crea poi un’ambientazione e intorno a questi elementi comincia a sviluppare una storia. È il disegno che guida l’evoluzione della storia, che solo in un secondo momento prevale sul primo, fino a raggiungere il giusto equilibrio fra parte scritta e disegnata. Reduce dal successo nei Paesi esteri, è uscito da pochissimo anche in Italia il primo libro delle avventure di Milla, “Milla e l’incantesimo di strega Puzzona”, edito da Astragalo edizioni. Raccontando la nascita del fortunato personaggio, l’illustratore ricorda: “Milla mi è subito comparsa in mente così, una ragazza dolce ma spigliata, un peperino, con le lentiggini, i capelli rossi e ricci e con una magliettina a righe. Ma in generale l’idea di un personaggio nasce soprattutto da una situazione particolare intorno alla quale vengono costruite le storie, tavola dopo tavola”. Per le proprie illustrazioni Domenico ama combinare le tecniche per ottenere un risultato sempre diverso e innovativo: “Amo molto lavorare con gessetti e pastelli, ma ultimamente i miei lavori sono quasi tutti eseguiti con tecnica mista: gessetti, pastelli, acrilico, acquerello e a volte anche collage. Sto sperimentando molto e spero di riuscire a creare qualcosa di particolare”. In attesa di altri coloratissimi personaggi, ci lasciamo anche noi coinvolgere dalla simpatiche avventure di Milla disponibili nelle librerie di tutt’Italia.

Eduardo Paola

(Articolo pubblicato su “L’Espresso Napoletano” nel numero di Marzo 2015)

Il credo artistico di Gennymatt

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Gennaro Guadagnuolo, conosciuto nell’ambiente artistico anche come Gennymatt, nel corso degli anni è riuscito ad affermarsi come danzatore e performer, non sono in Italia ma anche all’estero. In continua evoluzione, propone e sperimenta sempre nuovi stili grazie agli insegnamenti di grandi maestri che ha avuto la fortuna di incontrare sul proprio cammino. Danzatore, ma anche coreografo e creatore di performance dal grande impatto visivo, continua ad esprimersi in diversi campi. In occasione di una sua esibizione live lo abbiamo incontrato.

Quando hai avuto la percezione che avresti dedicato la tua vita alla danza?

A 12 anni, quando ho capito che la danza era la mia vita! Adoravo ballare in camera mia imitando i passi di Michael Jackson. Da ragazzino, con i miei amici, amavo mixare i passi dell’hip hop con l’house. Fummo i primi ad avvertire quel tipo di contaminazione nella danza urbana.

Come hai iniziato il tuo percorso e quale è la tua formazione?

La formazione di un danzatore professionista, di solito, inizia molto presto, quando si è ancora piccoli, attraverso lo studio della classica, che resta la madre di tutte le altre discipline per poi proseguire con la moderna, la contemporanea, l’hip hop e tutti gli altri stili. Per me non è stato così. Ho cominciato tardi, quindi la mia formazione è un po’ anomala. Da piccolo giocavo a calcio perché mio padre Giuseppe era il capitano della squadra della Casertana negli anni 70 e lui mi aveva trasmesso la passione per il calcio. Ma a 14 anni sono stato folgorato da una lezione di aerobica tenuta da Roberto Cosentino in una famosa palestra del Vomero e ho capito che quella era la mia strada. Nel 1993 ho conseguito il diploma di insegnate di aerobica a Roma, poi ho iniziato a lavorare in discoteca con il mio freestyle hip hop. In seguito, ho partecipato al programma televisivo di Paolo Bonolis “Beato tra le donne” classificandomi al secondo posto, preceduto dall’allora sconosciuto Alessandro Preziosi. Successivamente, mi hanno proposto di far parte di un percorso di studi di danza. Ho studiato giorno e notte dividendomi tra mille audizioni, fin quando ho incontrato Luca Tommassini, danzatore di Madonna e Michael Jackson. Poi è arrivato il primo contratto per una trasmissione televisiva con Raffaella Carrà.

Hai avuto il privilegio di lavorare con grandi artisti italiani e stranieri. Quali sono le esperienze che ti hanno arricchito maggiormente?

Sono una persona che osserva molto i maestri a lavoro. Michael Rooney, il coreografo di Kylie Minogue, ripeteva sempre una frase: “un danzatore deve saper ballare sia da uomo che da donna”. Poi Kevin Stea, altro artista poliedrico e danzatore storico di Madonna, ci raccomandava sempre di danzare con una sorta di segreto negli occhi.

Teatro e televisione: quale è il mezzo che senti più congeniale a te?

Entrambi. Amo sia il teatro che la televisione. Ho avuto la fortuna di danzare in diversi programmi Rai. La diretta TV non mi spaventa, anzi la preferisco perché mi mette adrenalina. Una volta ero in tour con Paola&Chiara, dovevamo partire per il Canada per una diretta in mondovisione ed essendo l’ultimo danzatore arrivato non c’era tempo per provare. Imparai tutta la coreografia della canzone “Vamos a bailar” in aereo. Alle fine, fortunatamente, andò tutto bene.

Quali sono i tuoi punti di riferimento artistici?

La voce di Michael Jackson, le parole di Lavelle Smith, le persone di talento che non riescono ad emergere, coloro che vivono la danza ed il proprio lavoro come un credo, chi crea e rimane nella storia, chi soffre e non ha la possibilità di esprimersi: sono questi i miei punti di riferimento.

Quali sono i tuoi impegni attuali?

Ho partecipato come danzatore nel nuovo film di Alessandro Siani, in uscita a dicembre. Sono reduce dalla trilogia de “La divina commedia” di Dante Alighieri presso il teatro “La Fenice” di Venezia, dove ho danzato con la compagnia romana “No-Gravity” di Emiliano Pellisari. Ho realizzato le coreografie del programma “Molto Bene” di Benedetta Parodi in onda sul canale Real Time. Insegno danza hip hop e mi esibisco nei club.

Eduardo Paola

(Articolo pubblicato su “Sussurri & Grida” nel numero di Dicembre 2014)

Incontro con… Riccardo Castagnari

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È calato da poco il sipario sul tuo ultimo spettacolo “Mr. Ward a colazione”, un testo che si discosta molto da quelli che hai portato in scena negli ultimi anni. Cosa ha rappresentato per te questa esperienza?

“Mr.Ward a colazione” è nato perché avevo voglia di cimentarmi con un linguaggio classico in una pièce che però avesse le caratteristiche di oggi. È stata questa la mia esigenza (di attore) dalla quale ha preso l’avvio il testo. Discostarmi da quello che ormai era diventato un pò il mio cliché di chansonnier per affrontare un testo che avesse qualcosa da dire ma che lo dicesse con un linguaggio alto. Per questo ho fatto un connubio tra il linguaggio quotidiano dei due protagonisti e un De Musset che raggiunge toni e vertici quasi shakespeariani. E ho anche voluto affrontare la storia d’amore tra due uomini per capire e far capire che l’amore è amore al di là del genere, del sesso e dell’età, l’amore segue sempre gli stessi meccanismi, non c’è differenza se ad amarsi sono un lui e una lei, due lui o due lei… non cambia nulla, se alla base c’è l’amore autentico.

Hai girato il mondo con “Marlene D.” una pièce dedicata al mito di Marlene Dietrich. Qual è la tua soddisfazione più grande legata a questo spettacolo? È in programma una ripresa?

La soddisfazione più grande è quella di essere riuscito ad interpretare un personaggio della portata di Marlene Dietrich in modo credibile fino quasi a creare una sovrapposizione vera e propria tra interprete e personaggio. Fare rivivere lei in palcoscenico sera dopo sera: questa senz’altro è la soddisfazione che va al primo posto. La seconda: aver avuto l’opportunità di portare lo spettacolo all’estero e di recitarlo in più lingue, spagnolo a Città del Messico e francese a Parigi. Terzo: il grande consenso di critica e di pubblico che lo spettacolo ha ottenuto ovunque. E i regali che Marlene mi ha fatto: due esempi su tutti  la foto che Pierre et Gilles mi hanno fatto nel loro studio di Parigi e la foto con dedica e autografo di Brigitte Bardot (a Riccardo “Marlene” superba B.B.).

Generalmente ogni artista ha uno spettacolo cult nel cuore, che magari ha incoraggiato o addirittura fatto nascere la voglia di intraprendere la carriera artistica. Qual è il tuo?

Il primo spettacolo in assoluto che vidi a teatro fu ‘Il fu Mattia Pascal’ di Pirandello con Giorgio Albertazzi. E lì ci fu l’innamoramento per questo mestiere. Un altro spettacolo che mi folgorò e che vidi per 12 volte consecutive fu Les fantômes de Pierrot di Leopoldo Mastelloni che mi diede lo sprone ad imitarlo, in un primo tempo, e a far mio quell’insegnamento che lui mi dava inconsapevolmente.

Ci puoi dare qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri?

Senz’altro ancora “Mr.Ward a colazione” (che recito col giovane e bravo Igor Petrotto) e che vorrei portare in giro per l’Italia e poi sto facendo anche un pensierino per “Kassandra” di Sergio Blanco che ho interpretato a Roma per una sera soltanto e che invece potrebbe avere un seguito. Chissà! Chi vivrà vedrà !

Eduardo Paola

(Articolo pubblicato su “L’Espresso Napoletano” nel numero di Dicembre 2014)

Incontro con… Mauro Barbiero

Mauro Barbiero

Mauro Barbiero, attore, cantante, danzatore. Qual è la forma di spettacolo dove ti esprimi al meglio?

In realtà non saprei, ho sempre pensato alla mia vita come ad un’opera d’arte. Guardo e pratico diverse forme d’arte come fossero pennellate sulla tela di vari colori. Queste pennellate per me rappresentano il mio percorso artistico e soprattutto il mio percorso di vita.

Il tuo curriculum è ricco di esperienze, una diversa dall’altra: dall’opera lirica al mimo, dal teatro classico a quello sperimentale. E’ una tua scelta quella di metterti in gioco in diversi campi?

No assolutamente. Ho scelto molto poco, più che altro prendo quello che la vita mi offre. Molto tempo fa con una compagnia di giovani liceali, miei coetanei, mettemmo in scena “Terrore e miserie del terzo reich” di Bertolt Brecht. Fui notato da un bravo regista calabrese, Scalercio, che mi propose di interpretare il ruolo di Dogsborough jr ne “La resistibile ascesa di Arturo Ui” sempre di Brecht e da lì è iniziato tutto.

Hai affiancato mostri sacri del teatro come Glauco Mauri e Paolo Poli. Quanto può essere importante per un giovane attore affiancare grandi personaggi?

Io direi è fondamentale. I miei primi maestri sono stati Remondi  & Caporossi. Loro mi hanno insegnato la disciplina, la pulizia dei movimenti, l’umiltà dei grandi. Da quando non c’è più Claudio Remondi, porto sempre con me una sua foto. Importantissimo poi è stato l’incontro con Gluaco Mauri nello spettacolo “Faust” di Goethe. In sole due prove di lettura, Glauco mi ha trasmesso immediatamente “il soffio sacro” come lo chiamo io. Per me è stato un grande maestro, uno dei pochi; un compagno di scena che ti da sicurezza ed ti incoraggia, sono onorato di averlo affiancato. Poli è stato un altro tipo di esperienza, con lui respiri il teatro come mestierante. La velocità, il darsi senza respiro, i ruoli “en travesti”; impari ad usare la maschera, a non risparmiare energie, entri in scena e vai fino alla fine dando tutto quello che hai al pubblico. Ho imparato anche a danzare sui tacchi e velocissimamente perché fui chiamato a rimpiazzare un altro attore il giorno prima del debutto nazionale. Poi ci sono Franco Zeffirelli e Maurice Bejart, ho appreso un pò da tutti perché l’importante è quello che tu sai prendere e non quello che ti viene insegnato.

Qual è l’esperienza che ti ha formato di più artisticamente e umanamente?

Tutto quello che ho fatto. Ma mi piace ricordare l’ultima esperienza perché alla fine il nostro lavoro è formazione e studio continuo. Nello spettacolo con cui ho debuttato quest’anno ,“La prima cena” di Michele Santeramo con la regia di Michele Sinisi, una produzione del teatrino dei fondi di S. Miniato, interpreto il ruolo che aspettavo da anni. Il personaggio si chiama Piero, un uomo manesco, violento, ma estremamente fragile. È  un ruolo a cui tengo molto e mi mette alla prova perché è completamente diverso da me. Quest’anno continuerò ad essere in scena con questo lavoro che ha ricevuto tante bellissime critiche: uno spaccato di vita, uno spettacolo “alla Eduardo” per il suo stile familiare e senza infiocchettature.

Eduardo Paola

(Articolo pubblicato su “L’Espresso Napoletano” nel numero di Novembre 2014)

Antiche risate, la macchietta italiana e i suoi protagonisti partenopei

Ettore Petrolini

La macchietta è stata una delle figure più emblematiche del café chantant e del teatro di varietà. Si diffuse nell’ambito dello spettacolo italiano tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Si cimentavano nella macchietta non solo i comici ma anche gli attori di prosa. Questa figura divenne presto un genere con regole ben precise, che si distingueva sia dal monologo che dalla canzone umoristica, in quanto a differenza della canzone, la macchietta utilizzava la musica solo per enfatizzare il significato e cadenzare il ritmo delle parole. La macchietta italiana deriva dal café chantant di Parigi, dove, intorno al 1870, sorsero, accanto agli chansonnier, ai fantasisti, agli imitatori, figure che si specializzarono in parodie di amori impossibili, parodie militari, caricature del vecchio dongiovanni  e soprattutto in quella degli ubriaconi. Il numero di questi antesignani dei macchiettisti era il più delle volte cantato. Tra i più celebri si ricordano Plébins, Bourges, Farville e Réval. In Italia il primo macchiettista è stato Edoardo Ferravilla, maestro nell’arte di schizzare figure di universale rilievo satirico. Ma il macchiettista italiano più celebre rimane Nicola Maldacea che si affermò con una serie di tipi caricaturali colti. A lui dobbiamo la nascita della macchietta napoletana che egli portò al successo grazie ai versi scritti proprio per lui da Ferdinando Russo e musicati da Nicola Valente. Inoltre si avvalse di altre illustri firme come quelle di Trilussa e Libero Bovio. Anche Fregoli, il più grande trasformista di tutti i tempi, si cimentò nell’arte della macchietta che presentava nel corso dei suoi spettacolari numeri. I più celebri macchiettisti del ’900 sono stati Raffaele Viviani, Ettore Petrolini e Totò. Totò con i suoi slogamenti marionettistici si ispirava a Gustavo De Marco, che introdusse negli ultimi anni dell’800 questa variante della macchietta. Viviani fu il geniale analizzatore dei tipi del popolino partenopeo; esordì con ’O Scugnizzo di Peppino Villani, per poi crearne, in seguito, delle proprie, indimenticabili: ’O Trouvatore, ’O Marinariello, ’O Cucchiere, ’O Guappo, ’O Professore e altre. Trasferì poi quelle vivaci caratterizzazioni nelle proprie commedie dialettali. Anche Petrolini esordì con imitazioni di Maldacea e di Villani, per poi dare vita a una serie di macchiette parodistiche e grottesche come Bell’Antonio, Picchio, Amleto, Napoleone, Giggetto er bullo, e poi i famosissimi Fortunello e Gastone. Quasi tutti i migliori comici degli anni ’30 come Odoardo Spadaro, Macario, Nino Taranto e il già citato Totò hanno iniziato proprio con questo genere. Col decadere del teatro di varietà, la figura del macchiettista è pressoché sparita. Qualche riflesso della macchietta classica è sopravvissuto fino agli anni ’50, ma esclusivamente inserita negli spettacoli strutturati come “one man show”. L’unico artista, nell’ambito dello spettacolo moderno, che porta avanti questo genere è Vittorio Marsiglia. L’attore campano si può definire certamente l’ultimo esponente di questa tradizione che ha ereditato l’enorme bagaglio dei suoi celebri predecessori e continua a portare in scena con successo questa figura che ha divertito e talvolta fatto riflettere su vizi e manie del genere umano.

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(Articolo pubblicato su “L’Espresso Napoletano” nel numero di Dicembre 2014)

Paola Iezzi, i love Naples

Copertina I.Love Paola iezzi

La cantante e produttrice Paola Iezzi prosegue il suo percorso da solista, dopo la separazione dalla sorella Chiara, con l’uscita del suo nuovo progetto discografico, “i.love”, disponibile su tutte le piattaforme digitali. L’ Ep contiene tre cover e quattro remix, realizzati dalla stessa cantante. La prima cover è “Get Lucky” dei Daft Punk, proposta in una versione più lenta e ricca di atmosfera e sospensioni armoniche, con un andamento funk molto più vicino agli anni ’80 rispetto all’originale. Gli arrangiamenti del brano sono curati da Michele Monestiroli (Aka Cat Paradox). Seguono altre due cover che appartengono al repertorio degli anni ’80, “The Sun Always Shines On Tv” degli A-Ha e “Live To Tell” di Madonna, quest’ultima da sempre una delle muse ispiratrici della Iezzi. Paola ripropone i pezzi in una versione che definisce “electro-western-country”. Gli arrangiamenti sono curati da Cristiano Norbedo e Andrea Rigonat, produttori che vantano importanti collaborazioni con artisti italiani come Elisa e Tiziano Ferro. All’uscita, “i.love” è balzato subito in vetta alle classifiche in Italia, Spagna e Argentina dimostrando che il sound della Iezzi ha un respiro internazione. Paola non è nuova a questo tipo di rivisitazioni; proprio l’anno scorso ha avuto un ottimo riscontro una sua personalissima versione di “Se perdo te”, canzone simbolo di Patty Pravo, ricevendo i complimenti proprio da quest’ultima. Oltre al grande amore per il canto, Paola continua a sperimentare nuovi linguaggi e nuove situazioni. Da qualche anno si esibisce in apprezzatissimi dj set nelle discoteche e nei club più famosi ed esclusivi d’Italia e negli ultimi due anni ha partecipato a trasmissioni televisive, come “La Pista”, su RaiUno, al fianco di Flavio Insinna. In occasione dell’uscita di “i.love” ho rivolto qualche domanda all’artista:

Come nasce il progetto “i.love”?

“Nasce per la volontà di cantare, nasce da un’esigenza. Dopo aver fatto molte serate come dj, il mio spirito di musicista e cantante mi ha riportata in studio. Non avendo ancora terminato la scrittura del mio album e desiderando fortemente cantare qualcosa che mi piacesse, ho iniziato a incidere alcuni brani dei quali ero innamorata, poi è nata l’idea di raccoglierli in un Ep. Non amo stare troppo tempo lontana dalla musica e quando ho un impulso creativo non riesco a tenerlo troppo in un cassetto. Avevo già registrato alcuni brani e poco prima di partire per New York ho deciso di realizzare un progetto di cover, anche se non sapevo ancora quali brani vi avrei inserito. Avrei voluto incidere più pezzi ma ho fatto una scelta per poterli rifinire al meglio. Mi autoproduco e dunque non ho budgets illimitati. Stare in studio ha dei costi, quindi devo obbligatoriamente fare delle scelte, per poter uscire con materiale di qualità, perché per me la qualità è una prerogativa indispensabile per fare musica.

Quanto ti hanno arricchita le esperienze da dj e quelle televisive degli ultimi anni?

Tutto quello che ho fatto mi ha dato qualcosa. Tutta la vita ti arricchisce. La vita è un percorso e la vita a contatto con la musica è quella che ho scelto. Tutto ciò che faccio in qualche modo ha a che fare con la musica e l’immagine, che sono le mie due grandi passioni. È un sogno poterle unire ogni volta. Scatta come qualcosa di magico. Normalmente quando sento dei suoni mi vengono subito in mente una serie di immagini da abbinare e, viceversa, se vedo delle immagini interessanti mi vengono subito in mente dei suoni, delle melodie, dei mondi sonori. È un connubio meraviglioso che fa parte di me e che credo sia una mia prerogativa. Faccio in modo che tutte le esperienze, anche quelle televisive, rientrino in questo modo di vedere e di sentire. La scelta la opero alla base: se una cosa non mi piace o non mi convince, dico di no! Ci vuole coraggio per rifiutare delle proposte di lavoro, soprattutto oggi. Ma bisogna essere fedeli a sé stessi, almeno finché è possibile.

Chi ti conosce bene sa che sei molto legata a Napoli e alla sua cultura, addirittura parli il dialetto perfettamente. Da dove nasce questo tuo legame così stretto con Napoli?

Si è vero, amo Napoli in tutte le sue sfumature e con tutte le sue contraddizioni. Amo i dialetti in generale, li trovo più interessanti e musicali dell’italiano, che per esempio secondo me, a volte non aiuta chi scrive i testi delle canzoni. Le espressioni dialettali sono colorite e piene di verità, sono dirette; per questo funzionano molto bene se messe in musica. È vero che parlo abbastanza bene il dialetto napoletano, ma non saprei dire da dove nasce il mio amore per questa città, perché è piuttosto antico. Credo di essermi innamorata tanti anni fa, da piccola, della musica e della cultura partenopea, piena di artisti, istrioni, di oratori, filosofi e di persone particolari. È una cosa strana, ma quando sento il dialetto napoletano mi sento come se di colpo fossi dentro a un teatro, perché Napoli è un teatro a cielo aperto, una meravigliosa città con una storia e una popolazione incredibile. i.love Naples, mi vien da dire.

Eduardo Paola

(Articolo pubblicato su “L’Espresso Napoletano” nel numero di Dicembre 2014)